In genere è più facile perseverare che lasciar andare, anche quando la seconda opzione portebbe benefici maggiori. Cos'è che ci blocca e ci fa rimanere nello status quo?
Perché perseveriamo anche quando sarebbe più utile lasciar andare? Secondo Annie Duke, autrice che si occupa di scienza cognitivo comportamentale nel campo specifico delle decisioni, i motivi principali sono quattro.
In questo episodio vediamo insieme:
- perché è così difficile lasciar andare,
- i 4 bias e mindset tipici che ci ostacolano,
- come superare questi ostacoli.
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Le note della puntata
Le fonti:
Quit: The Power of Knowing When to Walk Away, Annie Duke
Grit or Quit? Tactical Advice for Founders Facing Tough Company Building Decisions, First Round Review
Il binomio passione lavoro, stagione 1 di questo podcast
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Ciao gente, come butta? Oggi torniamo sui concetti che abbiamo cominciato a esplorare nella scorsa puntata e in particolare approfondiamo le ragioni che rendono così difficile lasciare andare rispetto al perseverare.
facciamo spazio è un podcast che parla di gestione del lavoro con il benessere al centro, attraverso osservazioni, idee e spunti per riflettere e agire.
Io invece, la voce, sono Giada Centofanti, autrice di facciamo spazio e di mestiere business coach e consulente.
Per questa puntata e per parte della prossima ho preso spunto da Annie Duke, un'autrice, che si occupa di scienza cognitivo-comportamentale nel campo specifico delle decisioni. Duke ha pubblicato l'anno scorso un libro che si chiama Quit. The Power of Knowing When To Walk Away. Io non l'ho ancora letto, era impossibile farlo in tempo per produrre la puntata.
Però ho ascoltato e letto diverse sue interviste e articoli da cui ho tirato un po' le somme per le nostre puntate.
In particolare mi ha aiutato un articolo, quello dedicato a chi fonda startup pubblicato nel blog di First Round, che è una società di venture capital statunitense e vi lascio il link nelle note dell'episodio se lo volete leggere in versione integrale e originale.
Bene. Nella scorsa puntata dicevamo che lasciar andare è complicato, perché la narrazione esterna del Never give up non mollare mai. alimenta e rinforza alcune nostre convinzioni distorsioni cognitive, i cosiddetti bias e oggi vedremo proprio le cose che ci passano per la testa quando evitiamo di lasciare andare i bias più comuni che secondo Duke sono principalmente quattro.
Il primo bias si chiama fallacia dei costi sommersi o costi recupero irrecuperabili che probabilmente avete sentito in inglese come sunk cost fallacy. Ha un nome che fa quasi paura, però in realtà è abbastanza facile da spiegare. Succede che tendiamo a dare un grande peso alle risorse che abbiamo già impiegato in vari termini denaro ma anche tempo, energia, eccetera.
Quindi che abbiamo già impiegato in un progetto e in un'attività e questo ci rende meno disposti a lasciarla andare anche quando quelle attività non ci sta portando da nessuna parte.
In un caso del genere la frase che potremmo pensare è devo continuare altrimenti avrà sprecato tutto il tempo, impegno, denaro che ho investito. Il problema però è che quelle risorse sono già belle che andate. Se il progetto, le attività non sta facendo progressi, non ci porta risultati benessere significa che continuare su quella strada ci farà sprecare nuove risorse, risorse che invece potremmo investire altrove in maniera più gratificante.
La seconda ragione che ci rende difficile lasciare andare è il cosiddetto pregiudizio dello status quo che, come si evince dal nome, si fa preferire lo status quo al cambiamento. E nel nostro caso vuol dire che tendiamo ad accogliere più facilmente la cattiva riuscita del piano che stiamo gia' seguendo rispetto a quello che invece potremmo seguire cambiando strada.
E mi viene in mente padre Maronno Maccio Capatonda che dice “E se poi te ne penti?”. Il senso di questo pregiudizio cognitivo è un po' quello no, il pensiero che potrebbe passarci in testa. Eh sì, ma se io adesso rimodula i servizi che offre e poi non funzionano e nessuno li acquista, che però equivale a dire che lascia i servizi così come stanno, anche se in realtà nemmeno quelli stanno funzionando.
Poi, sempre secondo Duke, la terza ragione che ci porta a perseverare anche quando sarebbe utile lasciare andare la tendenza a vedere gli obiettivi un po' come se fossero degli esami che o li passi o ti bocciano. No, una visione o tutto o niente. E bianco e nero. per esempio, se dico che voglio correre una maratona, penserò di aver raggiunto l'obiettivo solo se arriverò al traguardo e penserò di aver fallito
Se invece avrò fatto anche solo qualche chilometro in meno. Questo esempio mi ha fatto pensare un po' agli obiettivi di risultato e gli obiettivi di processo. La tendenza è puntare agli obiettivi di risultato per esempio correre quarantadue chilometri invece che lavorare su quelli di processo, le azioni o i processi, appunto, che io metterò in atto per raggiungere il risultato.
Se mi concentro solo sul risultato finale, non vedrò tutti i passi che ho fatto per arrivarci. E se non raggiungerò il risultato, non mi non mi riconoscerò il lavoro che avrò comunque fatto, il che chiaramente genera frustrazione. Fra l'altro Duke parlando di questa tendenza cita alcuni casi estremi in cui la fissazione per l'obiettivo ha causato addirittura lesioni fisiche.
Per esempio durante la maratona di Londra del duemila diciannove, quattro persone si sono fatte male seriamente, anche rompendosi le ossa, ma hanno comunque proseguito fino al traguardo perché per loro quello era l'obiettivo.
E francamente non direi che sono state eroiche. Ci vedo un po' di un mix di obiettivo tutto, niente fallacia dei costi sommersi, anche perché dopo non si saranno potuti allenare per tanto tempo, considerando immagino quanto ci sarà voluto per riprendersi da lesioni del genere.
E siamo arrivati alla quarta ragione per cui lasciar andare complicato l'ho lasciata per ultima perché la sento molto vicino a tutti noi che diamo tanta importanza al nostro lavoro. È una questione di identità. Intendo dire che la tendenza a non mollare la presa dipende anche da quanto ci identifichiamo con il progetto che sarebbe da chiudere.
È chiaro che questo è un grosso ostacolo a lasciare andare perché se ci identifichiamo con un progetto l'idea di chiuderlo, la percepiremo, probabilmente come se stessimo abbandonando una parte di noi. E fra l'altro più si porta avanti il progetto nel tempo più si impegnano risorse, più sarà difficile sciogliere quel enmeshment quella fusione fra identità e progetto.
Detto ciò, siamo proprio spacciate, cioè non ne possiamo uscire da questi bias?
In realtà per uscirne un primo passo è proprio riconoscere che ci sono questi elementi cognitivi e psicologici che stanno intervenendo. L'ascolto di sé. La consapevolezza sono sempre essenziali perché la consapevolezza ci dà la possibilità di scegliere cosa fare e poi di agire di conseguenza.
Dopo aver preso consapevolezza, impariamo a chiederci periodicamente qualcosa tipo vale la pena continuare su questa strada.
Le revisioni di cui tanto vi ho parlato sempre in alcuni episodi passati sono un ottimo momento per fare questo tipo di riflessione. E oltre a questa domanda ce ne sono tante altre che possiamo farci e ci sono delle strategie che possiamo usare per capire quando è il momento di lasciare andare, ma ne parliamo nella prossima puntata.
Per oggi invece tutto è in attesa del prossimo episodio. Come sempre vi invito a fare le vostre riflessioni e magari chiedetevi se vi riconoscete in particolare in qualcuno degli elementi che abbiamo visto. E poi se vi va, venite da me su Instagram, LinkedIn e ne parliamo. A presto.