Ma davvero tutto deve essere "per lavoro" per avere valore? Non credo, ma tendiamo a pensarlo.
Nella nuova puntata di facciamo spazio, il podcast, esploro una prospettiva diversa passando prima dalle questioni che invece ci incastrano in automatismi poco funzionali.
Il messaggio che arriva dall'esterno e noi interiorizziamo è che il nostro valore risiede in quello che produciamo, non nell'essere e basta.
In questo episodio vediamo insieme
- lo spunto da cui nascono queste riflessioni,
- 2 questioni di cui prendere consapevolezza,
- 2 domande e un invito per cominciare a cambiare prospettiva.
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Ciao gente! Come butta? Qualche anno fa credo che fosse più o meno intorno al 2017 - 2018, forse. Sicuramente era un periodo pre pandemico. Circolava un hashtag, se ve lo ricordate che era è per lavoro e di solito accompagnava delle foto in posti belli, oppure attività particolari o piacevoli.
A ripensarci ora, la sensazione che mi dà quell'hashtag è che fosse un po' un modo per dire sì eh sto facendo delle cose belle, però è per lavoro. Come se ci si dovesse un po' giustificare. Da questo ricordo che mi è passato per la testa e da una serie di conversazioni che ho avute negli anni nasce questa puntata.
facciamo spazio è un podcast che parla di gestione del lavoro con il benessere al centro, attraverso osservazioni, idee, spunti per riflettere e agire.
Io invece, la voce, sono Giada Centofanti, autrice di facciamo spazio e di mestiere business coach e consulente.
Una puntata in cui voglio giocare con voi a ribaltare quella prospettiva e allargare lo spazio per tutte quelle cose che non sono per lavoro. Una puntata che in un certo senso chiude il cerchio che ho cominciato, scusate che ho cominciato a tracciare due puntate fa, quando parlavamo della costruzione di un lavoro che rimetta al centro il benessere.
Ed è anche una puntata che chiude questa stagione di facciamo spazio, ma questo ce lo diciamo alla fine.
Dicevamo di ribaltare la prospettiva. E allora la domanda che possiamo farci è: "Si può trasformare quel #èperlavoro in #nonèperlavoro?". Secondo me sì. Per me questa è una domanda retorica. Chiaramente però, come sempre, ci sono un pochino di questioni di cui prendere consapevolezza.
La questione numero uno è la narrazione che tutto è monetizzabile. E perché questa narrazione è diffusa? Beh, per parafrasare la frase nell'Ultima minaccia di Humphrey Bogart "È il capitalismo, bellezza", no? È il sistema economico che comunque agisce e comunica in favore della mercificazione un po' di qualsiasi cosa e questo messaggio diventa più pervasivo e condizionante ogni volta che ci viene proposto.
Sto pensando alle pubblicità generano in noi bisogni che non sapevamo di avere e che probabilmente non avevamo proprio.
Sto pensando ai comportamenti delle persone intorno a noi, amplificati dalla presenza online, che possono farci pensare "Ah ma forse dovrei farla anch'io quella cosa", per esempio vendere i lavori all'uncinetto per dire, no?
È anche vero che da anni non passiamo bei chiari di luna economicamente parlando, allora l'idea di farci due soldini extra non ci fa schifo.
Che cosa succede però quando monetizziamo gli hobby?
Spesso succede che invece di darci gioia cominciano a toglierci energia e frustrarci perché non li perseguiamo più per il piacere di farlo ma per ottenere un riscontro economico.
Ci stufiamo del nostro hobby per via di una cosa che una serie di ricercatori hanno definito giustificazione eccessiva, e cioè il fatto che quando ci offrono una ricompensa per qualcosa che già in sé ci dava piacere, in realtà la nostra motivazione a farla cala.
E come influisce questa prima questione su quel non è per lavoro? Beh, ci porta a pensare che gira, che ti rigira tutto debba essere fatto con lo scopo di una transazione economica.
Quella attività, quindi fatta per puro piacere, si trasforma in un lavoro. O lavoretto, ma sempre lì siamo.
E vediamo anche la questione numero due e cioè l'incapacità di essere improduttive.
E perché succede questa cosa? L'ho detto prima, no, del sistema economico. Siamo sempre lì.
È una questione di sistema economico che è diventato sistema culturale. E quindi il messaggio che arriva dall'esterno e noi interiorizziamo è che il nostro valore risiede in quello che produciamo, non nell'essere e basta.
Pensate allo status di essere impegnate, per esempio, è una cosa che fortunatamente mi sembra in calo, soprattutto in persone giovani e nelle persone di qualsiasi età che abbiano cominciato dei percorsi di consapevolezza. Però credo che ricorderete la sensazione di dover dire "Faccio cose, vedo gente" per non sembrare una che è stata svaccata sul divano, no?
E perché non posso serenamente stare svaccata sul divano? Perché se non faccio non sono.
E quindi come influisce questa seconda questione su quel non è per lavoro?
Se il nostro valore è legato a quello che produciamo e se in genere riteniamo di produrre solo in ambito lavorativo, allora tutto quello che non è lavoro per noi avrà più o meno consciamente meno importanza.
Ricapitoliamo.
Ci hanno insegnato, direttamente o indirettamente, che vale la pena sacrificare benessere tempo, relazioni, interessi personali per ottenere denaro.
Ma se tutto diventa monetizzabile, allora le nostre fonti di espressione e di ricarica creativa si legheranno al denaro e al lavoro e quindi finiremo per rimanere incatenate al lavoro, perché la gioia e il divertimento e la giocosità saranno associati solo al lavoro, o in ogni caso a quello che produce guadagni.
E piano piano andranno a scemare per le questioni di motivazione che vi dicevo prima.
Ma è davvero questo quello che vogliamo?
Lo so che è una domanda retorica, ma probabilmente finché non ce la facciamo rischiamo di non uscirne. La mia idea è che abbiamo tutto il diritto di fare e amare delle attività perché ci danno piacere e perché ci arricchiscono la vita senza aspettarci che ci aiutino a pagare le bollette.
E allora sempre perché sono le domande che ci aiutano ad aprire porte nuove, vi chiedo e mi chiedo:
- domanda uno Come ci sentiremmo a dedicare il nostro tempo, la nostra attenzione a qualcosa solo perché ci fa stare bene e ci fa ricaricare?
- domanda due Quando vogliamo cominciare a farlo? Se non abbiamo già cominciato.
Quell'hashtag non è per lavoro vi invito a farlo vostro e a usarlo non tanto sui social che insomma, se mi conoscete, sapete che non li abito molto, ma come strumento che vi ricordi il vostro diritto di fare qualcosa solo perché vi dà piacere.
Dopodiché, se poi vi accorgete che con questa cosa fate fatica per resistenze interiori o motivi vari, sappiate che io e i miei percorsi ci siamo e possiamo metterci all'opera insieme per sbloccare la situazione.
Ma in ogni caso il mio invito è a farvi quelle domande e poi a provare a fare quello che vi dà gioia, senza nessun bisogno di collegarlo a una monetizzazione o al lavoro.
io vi ringrazio di essere state con me fino a qui e soprattutto per tutta la stagione. Con questa puntata concludo questa stagione e vi do appuntamento all'autunno.
Io nel frattempo svuoterò ampiamente la mia testa e ricaricherò l'energia creativa per produrre una nuova stagione all'altezza delle vostre aspettative. Se poi nel frattempo avete voglia di dirmi la vostra sui temi delle puntate oppure farmi richieste per le prossime, sapete dove trovarmi. Mi trovate su LinkedIn, su Instagram, nel prossimo periodo estivo sarò meno attiva, ma prima o poi vi leggerò e vi risponderò.
Io vi saluto, vi ringrazio ancora e a presto e buone esperienze non per lavoro.