Quali sono gli ostacoli principali al rimettere noi stesse e il benessere al centro del nostro lavoro? E quali opzioni abbiamo per superarli?
La cultura dell'iperproduttività ha un impatto negativo sul nostro benessere perché ci dice di fare, di essere costantemente in azione, di lavorare tanto, di lavorare il più possibile, di tirare finché non arriviamo alla meta. E questo significa chiaramente esaurire le nostre energie. E significa anche camminare verso una meta, quella del successo a tutti i costi, che nella maggior parte dei casi non abbiamo definito noi.
Nella puntata di oggi vediamo insieme:
- i 2 ostacoli principali a una cultura del lavoro centrata sul benessere anziché sulla performatività,
- 4 spunti per cominciare a superarli, partendo dal lavoro interiore per arrivare all'azione collettiva.
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Ciao gente, come butta? La puntata di oggi è un po' diversa dalle altre, nel senso che l' audio che ascolterete è estratto da un talk che ho tenuto a inizio aprile. Però i temi sono sempre quelli che trattiamo qui nel podcast e con le clienti affrontiamo nei percorsi di coaching.
Perciò se alla fine del talk sentite il desiderio di essere accompagnate in una nuova direzione che ridimensioni lo spazio che il lavoro occupa nella vostra vita e nella vostra testa e che ve lo faccia anche vivere meglio, sappiate che io ci sono, mi potete citofonare.
facciamo spazio è un podcast che parla di gestione del lavoro con il benessere al centro, attraverso osservazioni, idee e spunti per riflettere e agire.
Io invece, la voce, sono Giada Centofanti, autrice di facciamo spazio e di mestiere business coach e consulente.
Il talk che sto per farvi ascoltare era inserito in un webinar organizzato dalla Rete al Femminile su un tema a me molto caro, e cioè superare la narrazione della performatività a tutti i costi per recuperare benessere e ritrovare il proprio centro, anche nell'attività professionale. Insieme al mio intervento c' è stato quello di Anna Venere che ha parlato della trappola della performance nell'aspetto esteriore delle donne.
Entrambe siamo state accompagnate da Barbara Damiano che è la presidente della Rete al Femminile e in quella occasione è stata una fantastica moderatrice. Se lo volete recuperare per intero, vi metto anche il link nelle note nella puntata.
Ma veniamo a noi. Vi lascio il mio intervento in cui vi parlerò di quali sono gli ostacoli principali a rimettere noi stesse e il benessere al centro del nostro lavoro. E quali opzioni abbiamo per cominciare a superarli. L'audio capirete che non è eccelso perché estratto da una diretta streaming.
Quindi sentirete ogni tanto alcuni salti qua e là. Però niente di trascendentale. In ogni caso, si capisce tutto. A voi il talk ci ritroviamo alla fine per i saluti.
Qual è la strada e com'è fatta questa strada per costruire un lavoro, appunto, che metta al centro in centro benessere e contribuisca possibilmente una vita gioiosa?
È una strada che sicuramente è fatta di sperimentazioni, è una strada che è fatta anche di ostacoli da superare. Senza dubbio oggi mi vorrei concentrare proprio per stare anche nel tema dell'incontro e anche è come essere in linea, quello con quello che poi dirà Anna nel suo intervento, in particolare su due ostacoli che poi, a mio avviso, creano un effetto domino su tutto il resto.
Alla fine, visti gli ostacoli, vi lascerò anche qualche spunto di riflessione per poterli riconoscere e cominciare a superare così. Insomma, non esprimiamo, ma sappiamo che c' è qualcosa che possiamo fare Partiamo dal primo ostacolo, che è il condizionamento sociale. Il condizionamento sociale è un'influenza di fattori esterni sui comportamenti e sulle scelte delle persone, dei gruppi di persone.
È un processo che forma le persone a rispondere in modo approvato dalla società e che quindi garantisce il funzionamento di una certa società. Quindi è qualcosa di funzionale a fare una società in cui si condividano costumi e un modo di vivere.
Può però il condizionamento sociale creare una sensazione di disallineamento interiore, soprattutto in quei casi in cui le persone si conformano a questo condizionamento non perché lo vivano bene, ma perché sono mosse da paura del giudizio, senso di colpa, senso di inadeguatezza, paura di non essere accettate.
E questo può accadere in senso più ampio in ambito sociale, no nella società in cui viviamo, ma anche in famiglia, a scuola, in azienda, nel luogo di lavoro che sono sicuramente tutti i testi in cui il condizionamento esiste e può attendere a schiacciare le attitudini individuali.
E questo, appunto, lo vedrete anche in una certa misura. Nell'intervento di Anna dopo c' è un veicolo particolare di condizionamento su cui vorrei porre attenzione, che è più fluido in un certo senso, ma un impatto enorme. E che sono i mezzi di comunicazione di massa, quelli tradizionali, senza dubbio. Ma oggi anche e soprattutto i social media.
Ci torneremo fra poco. Parlando del secondo ostacolo capiamo però prima come optional sociale può ostacolare il nostro benessere anche in ambito lavorativo. Il condizionamento, dicevamo, ci fa agire in maniera linea rispetto ai nostri bisogni e desideri reali, perché tendiamo a provare disagio quando vediamo che il nostro comportamento non è conforme a quello di maggioranza o a quello di una certa autorità in un determinato contesto che potrebbe essere un capo sul lavoro, ma anche un insegnante, un medico.
Succede quindi che le nostre azioni e i nostri pensieri si modificano per essere conformi a quello che viene chiesto dalla società, dall'autorità. Il problema è che il condizionamento sociale è qualcosa che agisce dentro di noi. Di fatto lo interiorizza. Abbiamo fatto nostro e quindi si fonde con i nostri pensieri e crea il nostro sistema di convinzioni.
E in genere, quindi non ne siamo consapevoli. Finché non lo saremo, non potremo contrastarlo se lo desideriamo. Questo ci porta per esempio, a replicare dei modelli di gestione del loro chiamiamo introiettato lavorando in azienda, oppure che vediamo messo in atto da colleghe o da altre libere professioniste di modelli che in genere sono standard.
Ok. In ogni caso, non tengono conto delle nostre attitudini individuali, quindi più aiutarci nel lavoro in realtà creano attrito, creano frustrazione, creano fatica. passiamo al secondo ostacolo la cultura, come dicevamo, della produttività della performativi that a tutti i costi. stiamo parlando in questo caso, di una cultura, quindi di un insieme di valori, di convinzioni, di modelli di comportamento che proprio come un condizionamento sociale, vanno a lavorare dentro di noi e che cos'è questa produttività a tutti i costi.
È la cosiddetta hustle culture americana che abbiamo importato e stiamo assorbendo attraverso i media e la cultura popolare. Ecco perché devo tenere d'occhio, tenere presenti i mezzi di comunicazione di massa. Non pensiamo soltanto a riviste e giornali che se vogliamo un certo senso, perlomeno pervasivi, pensiamo ai film e alle serie tv.
Ve l0 ricordate il film Una donna in carriera? è il primo che mi è venuto in mente. Ma sicuramente se ci mettiamo lì e ci pensiamo, ne troveremo centinaia. Forse migliaia tra film e serie tv che promuovono quel tipo di cultura di per lavoro, promuovono una narrazione che ci dice lavora duro e vedrai che ce la fai.
Non mollare mai. Never give up. Devi essere una persona di successo. Se vuoi, puoi. È una narrazione che da quando ci sono i social ci arriva forte e dritta in faccia tutti i giorni, in qualunque momento della giornata, da qualunque parte ci giriamo, no? Volete che non ci condizioni? Io sono piuttosto certa che anche le persone più centrate possono vacillare sotto il peso di questa quantità di messaggi.
E perché però questa cultura dell'iperproduttività ha un impatto negativo sul nostro benessere. tanto per cominciare, perché ci dice di fare, di essere costantemente in azione, di lavorare tanto, di lavorare il più possibile, di tirare finché non arriviamo alla meta. E questo significa chiaramente esaurire le nostre energie.
Ma non solo significa anche non fermarci mai per ricaricarle, perché chi si ferma è perduta, no? E significa, anche se ci pensate, camminare verso una meta, quella del successo a tutti i costi, che nella maggior parte dei casi non abbiamo definito noi. Ma è quella che vediamo proposta nei media, nei social di altre persone e che pensiamo magari di volere per noi, anche se in realtà non sappiamo se ci piacerebbe davvero avere quella cosa lì.
E qui si innesta anche un altro elemento che erode benessere la comparazione con i risultati che le altre persone raggiungono. sui social non vediamo la quotidianità. Vediamo dei momenti. Questo è abbastanza pacifico, no? Vediamo perlopiù dei racconti di gioia e di successi, di risultati raggiunti. E però che cosa succede?
Che un tale quantitativo di messaggi di quel tipo ci porta a pensare che magari quella è la quotidianità delle persone che li condividono? O in ogni caso ci condiziona a pensare che il successo è fatto in un certo modo? E magari noi però non ci siamo ancora riusciti a raggiungere quei risultati li e ci chiediamo allora perché non ce l'abbiamo ancora fatta dov'è che sbagliamo?
A mio avviso però la domanda da farsi non è tanto cosa c' è di sbagliato in me, ma cosa c' è di sbagliato nel sistema? Cosa c' è di sbagliato in questa cultura che mi sta facendo sentire così in questi media che la propagano? una cultura che fra l'altro ci propone dei modelli standard. Se ce l'ho fatta io ce la puoi fare anche tu con il mio metodo, ignorando, proprio come succede nel condizionamento sociale, le attitudini e i bisogni individuali.
É una cultura che per di più non tiene conto del contesto e delle opportunità o mancanza di opportunità delle persone, e che quindi far ricadere tutte le colpe degli insuccessi sulle spalle delle persone, the responsabilizzando la società in cui vivono, il contesto da cui provengono. Ok, questo era il quadro depressivo.
Ma ne possiamo uscire? E come proviamo a uscirne? Come possiamo ritrovare il nostro centro, il nostro benessere? Oggi vi propongo alcuni spunti di riflessione e operativi, tenendo presente, naturalmente, che questo è un lavoro lungo che richiede tempo. Partiamo dal primo passo, che è un po' anche quello che stiamo facendo oggi insieme, che è sempre presente nei processi di cambiamento, che è prendere consapevolezza.
In questo caso prendere coscienza del fatto che alcuni dei nostri comportamenti e pensieri possono essere stati influenzati da fattori esterni e dal contesto in cui viviamo. Sono pensieri e comportamenti che quindi mettiamo in atto in automatico? No, perché come dicevamo prima, nel tempo li abbiamo interiorizzati.
Oppure potrebbero essere dei comportamenti che mettiamo in atto in maniera intenzionale per adeguarci agli standard della cultura degli per lavoro. Il mio invito in questo momento è di cominciare a chiedervi se nella vostra professione o nella vostra gestione del lavoro state facendo qualcosa, perché si è sempre fatto così, perché lo standard è quello o perché magari state provando a riprodurre comportamenti di successo.
Secondo quanto dicevamo prima potete anche provare a risalire all'origine del condizionamento famiglia, scuola, azienda, colleghi media. Per esempio, provate a capire da dove arrivano le vostre convinzioni sul lavoro, sul successo sull' etica del lavoro. Ok, Dopo aver preso consapevolezza, è il momento di cominciare a osservarvi, farvi qualche altra domanda perché questo è l'unico modo in cui potete cominciare a togliermi di dosso gli strati di condizionamenti e cominciare a scoprire quali sono i vostri bisogni e desideri profondi.
Per esempio, se pensando alla presa di consapevolezza avete riconosciuto su di voi dei condizionamenti, potreste chiedervi ma io come ci sto? con questo condizionamento mi fa lavorare bene, mi fa sentire bene. Sono davvero d'accordo con le idee che nel tempo mi sono fatta le convinzioni che o mi supportano e chiaramente, a seconda della vostra risposta, avrete la possibilità di agire in un modo o in un altro.
Poi un'altra, cosa che vi propongo di fare, di osservarvi mentre lavorate. Per esempio, pensate ai vostri livelli di energia durante una giornata durante una settimana. Come fluttuano le vostre energie durante la giornata L'orario D'ufficio classico nove diciotto viene incontro alle fluttuazioni della vostra energia In generale, vi piacerebbe fare qualche cambiamento nella gestione del vostro lavoro e se non notate che ci sono ostacoli ai cambiamenti, sono derivati dai condizionamenti.
Bene. Avete preso consapevolezza? Avete fatto delle osservazioni? Vi siete fatte delle domande? A questo punto, se volete, è il momento di darvi il permesso di ascoltarvi con ancora più cura e di sperimentare, ma anche di fermarvi. Allora non è affatto facile uscire dagli automatismi, soprattutto se sono radicati se sono collegati a un senso di inadeguatezza e alla paura del rifiuto, ma anche perché il nostro cervello agisce per risparmiare energia e in un'ottica di sopravvivenza e quindi di solito tende a scegliere la strada che conosce già, perché per lui è meno faticosa e meno dispendiosa di energia.
Però a piccoli passi ne possiamo uscire. Ce la possiamo fare a cambiare e a uscire dagli automatismi. E io trovo che un'ottima chiave per lavorarci sia quella della cosiddetta self compassion della dottoressa Kristin Neff, che a me piace tradurre come comprensione di sé e gentilezza verso di sé. Se, quando il suo insegnamento da un lato, vi invito a essere non giudicanti verso voi stesse, a essere comprensive, proprio come lo sareste con una persona cara e dall’altro invito a cominciare a darvi il permesso di sperimentare i cambiamenti che pensate vi potrebbero aiutare.
Facciamo un esempio osservando vi avete scoperto che per voi il momento migliore per fare delle attività creative che so scrivere dei testi per il vostro lavoro, creare contenuti visivi, creare contenuti audio la sera però fino adesso non l'avete mai fatto perché siete state condizionate a pensare che l'orario di lavoro è dalle nove e alle diciotto e quindi dovete stare dentro a quei confini.
Come potete invece darvi il permesso di lavorare in quel blocchetto di tempo serale che a voi fa stare tanto bene? Se fate fatica a darvi il permesso, c' è un esercizio sempre della dottoressa Neff che vi può aiutare e scrivere una lettera a voi stesse, immaginando però di parlare con una persona a voi molto cara.
Come le parlereste? Che cosa le direste? Come la aiutereste a darsi il permesso di farlo? È un esercizio che detto così forse sembra semplice e anche in banale. Però in realtà io l'ho sperimentato con tante clienti e vi assicuro che è molto potente e quindi se vi va, vi invito a provarlo anche per situazioni altre in cui dovete darvi il permesso di fare qualcosa.
Bene. Dicevamo che la terza cosa la prima cosa di diciamo questo blocchetto era ascoltatevi sperimentate, ma poi fermatevi. Vi invito a fermarvi, a darvi il permesso di fermarvi, se volete, sempre utilizzando la lettera della dottoressa, perché è importante che tutte e tutti e tutto ci prendiamo degli spazi in cui non facciamo.
Ma siamo spazi per riposare, spazi per riprendere energie, spazi per pensare, spazi per guardarci. Dacci dentro e intorno a tutti quegli spazi che la cultura della produttività a tutti i costi in realtà ritiene inutili o da ottimizzare, no, e che invece sono degli spazi vuoti, essenziali per il nostro essere e per il nostro benessere.
Bene, un ultimo, anzi un penultimo spunto su cui vi propongo di riflettere è proprio il concetto di equilibrio vita-lavoro. Abbiamo sentito Barbara prima come se ne ha parlato, no? Qui in rete al femminile, l'idea di equilibrio è quella di essere in equilibrio nella propria esistenza senza doversi fare carico di doveri indotti, che è un concetto che io sottoscrivo appieno.
Voglio dire però due parole proprio sulla parola equilibrio che per la mia esperienza può essere una parola, un po' rischiosa che tende a generare un pelino di ansia e a spingere verso il perfezionismo. Perché ci può far pensare. Dobbiamo essere sempre lì, con il fiato sospeso, a tenere in equilibrio tutte le cose della nostra vita, come fossero i piattini cinesi sui bastoncini.
Se quando sentite equilibrio, quella è l'immagine che vi viene in mente, io vi invito a trovare una parola vostra alternativa equilibrio che vi faccia sentire invece calma e serenità. Io, per esempio, l'ho trovata in armonia che per me evoca l'armonia musicale in cui suoni si combinano e mi permette di non mettere su due piani distinti e contrapposti il lavoro, la vita, ma di vedere tutte le aree della vita, fra cui anche il lavoro e tutti i ruoli che rivestono nella mia vita.
In questo modo posso agire per nutrire i miei bisogni e i desideri in maniera trasversale, attingendo da tutte le aree della vita. E posso accorgermi che a volte darà più spazio a un'area o un ruolo altre volte ad altri e avere cura che uno non fagociti gli altri, come dei suoni che formano un'armonia appunto.
Vi invito a provare a creare la vostra immagine mentale. La vostra parola, se equilibrio per voi funziona, va benissimo. Tenetelo. Se non funziona, sappiate che potete cambiarlo, perché alla fine il lavoro che stiamo facendo oggi è proprio quello di liberarci dai costrutti. Lo diceva anche Sarah All'inizio Se per noi non funzionano e creare la nostra strada e per essere libere di creare la nostra strada.
E poi concludo quindi creare la nostra strada nella vita e nel lavoro. Abbiamo bisogno di un altro elemento di cui non vi ho ancora parlato, ma che è fondamentale e la connessione con le altre persone. non soltanto in termini di confronto arricchente, ma di condivisione di intenti. Meglio ancora se operativa.
Perché se fino ad ora abbiamo parlato del lavoro interiore che possiamo fare su di noi, non possiamo dimenticare però che la questione sistemica, i condizionamenti sono nel sistema sociale, culturale ed economico in cui viviamo. È un sistema a cui fa molto comodo tenerci divise a pensare ciascuna ciascuno ai suoi problemi, perché così saremo produttive, perché così consumeremo, perché così saremo brave e buone come il sistema desidera.
Però mi sa tanto che noi non ci vogliamo stare buone. No, lo vogliamo cambiare questo sistema creando una cultura diversa, una cultura che non ci faccia morire di burnout, una cultura che ci ricordi anche di usare il nostro status privilegiato per creare opportunità per le persone che non ne hanno.
Però per farlo abbiamo bisogno sicuramente di lavorare su noi stesse, per rimetterci in forze. Però poi di unirle queste forze, di metterci all'opera insieme, proprio come stiamo facendo ora grazie alla rete al femminile.
Eccoci. Prima di chiudere vorrei proporvi di riflettere sul passaggio del talk che più vi ha toccato, ispirato, fatto accendere una lampadina. Che cos'è che vi sta dicendo in questo momento quel passaggio? E magari c' è un'azione che potete fare per seguire quella ispirazione? Grazie di essere state con me fino a qua.
Se avete voglia di dirmi la vostra sui temi di oggi, raggiungetemi su LinkedIn oppure Instagram e noi ci sentiamo alla prossima puntata in cui parleremo di quanto spazio occupa il lavoro nella nostra vita e nella vostra testa. A presto.